Per la prima volta in quasi vent’anni, due sentenze della Corte costituzionale tedesca esprimono dubbi sull’espulsione verso “Paesi terzi sicuri”. In questione ci sono le carenze del sistema d’accoglienza italiano per quanto riguarda le famiglie con bambini piccoli soggette al “Regolamento di Dublino”.
Espulsioni verso l’Italia di famiglie con bambini piccoli: a settembre la Corte costituzionale tedesca è entrata nel dibattito con due sentenze significative per quanto riguarda il re-invio di questa tipologia familiare in “Paesi terzi sicuri” o in altri “Stati Dublino”. La Corte non ha accolto le specifiche richieste dei ricorrenti, ma, esprimendosi sull’argomento per la prima volta in 18 anni, ha preso criticamente posizione sul ruolo delle autorità in questi casi.
Bambini. E “vulnerabili”
Queste alcune delle conclusioni inserite nelle due sentenze, la “2 BvR 1795/14” e la “2 BvR 939/14” del 17 settembre 2014: l’Italia ha seri problemi nell’accoglienza dei migranti re-inviati nei suoi confini (un dato acclarato che prescinde dal dibattito sul fatto che queste carenze siano «sistemiche» o meno). Il Bamf (Bundesamt für Migration und Flüchtlinge, l’Ufficio federale tedesco per l’immigrazione e i rifugiati) dovrebbe come minimo collaborare con le autorità dei Paesi che ricevono gli espulsi affinché le famiglie con bambini sotto i quattro anni trovino una sistemazione che non metta a grave rischio la salute di questi ultimi; l’espulsione verso “Paesi sicuri” o verso “Stati Dublino” deve essere valutata in modo diverso rispetto a quella verso i Paesi d’origine: infatti chi è stato respinto nei “Paesi sicuri” o in quelli aderenti al regolamento “Dublino III” si ritrova a ricostruirsi una vita senza l’appoggio della propria rete sociale.
Inoltre, vi sono elementi per fare appello alla Duldung (“tolleranza”), cioè al permesso di soggiorno provvisorio con cui in Germania si riconosce che una persona che deve lasciare il Paese non può farlo (negli anni scorsi i beneficiari erano 86.000). In questi casi la concessione della Duldung è giustificata in senso ampio: le condizioni di salute dei “deportati” potrebbero peggiorare non per il viaggio in sé, ma per l’espulsione nel suo complesso. Così le autorità tedesche in certi casi devono (dovrebbero) valutare che nei Paesi di destinazione le persone ricevano un’assistenza adeguata: «Si arriva a questa conclusione – commenta lo studio legale Bender di Francoforte che ha analizzato le due sentenze – in un passaggio che esamina l’argomento della salute di per sé, senza far riferimento alle famiglie con bambini piccoli. Questo significa che la decisione della Corte ha rilevanza non solo per questa tipologia, ma per tutte le persone vulnerabili in genere».
Anche a Strasburgo e in Regno Unito…
Infine, si ricorda che nei casi di espulsione di rifugiati verso Paesi terzi occorre tenere in considerazione quanto previsto dalla direttiva “Rimpatri” dell’Ue, e in particolare gli impegni a preservare l’unità familiare e il “miglior interesse” dei minori.
Lo studio Bender segnala che la situazione dei ricorrenti delle due sentenze del Bundesverfassungsgericht “2 BvR 1795/14” e “2 BvR 939/14” è simile a quella del ”caso” Tarakhel, pendente alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Mentre i pareri espressi dalla Corte costituzionale tedesca sono simili a quelli contenuti in una sentenza della Corte suprema del Regno Unito del 19 febbraio 2014.
Allegati
La sentenza “2 BvR 939/14” (file .pdf, in tedesco)
La sentenza “2 BvR 1795/14” (file .pdf, in tedesco)
Collegamento
“Dublin cases”: il punto della Corte europea dei diritti umani (luglio 2014, file .pdf, in inglese)
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