Si può misurare l’efficacia di una “buona pratica diffusa” come la rete di enti locali dello Sprar? Nel 2010 sono usciti dai suoi progetti circa 2.750 assistiti. La motivazione più frequente (43% di tutte le uscite) è l'”aver portato avanti il proprio percorso di integrazione”.
Si può misurare l’efficacia di una “buona pratica diffusa” come la rete di enti locali dello Sprar (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati), al di là del dovere di un Paese e del suo territorio di accogliere decentemente chi chiede protezione e (se gli va bene) la ottiene? Un indicatore può essere cercato nelle “uscite” dai progetti della rete d’accoglienza. In merito, il Servizio centrale dello Sprar ha diffuso recentemente alcuni dati, offrendo allo stesso tempo gli elementi per un serio “bilancio sociale” e una prova di trasparenza.
Nel 2010, ovviamente l’ultimo anno con dati completi, sono usciti dai progetti Sprar circa 2.750 assistiti. La motivazione più frequente (43% di tutte le uscite) è l'”aver portato avanti il proprio percorso di integrazione”. Seguono le voci “dimissione per scadenza dei termini” (meno di un terzo delle uscite), “abbandono” (circa un quinto delle uscite), “allontanamento” (meno del 4%) e “rimpatrio voontario” (0,5%).
Insomma, i beneficiari sono usciti dall’accoglienza soprattutto dopo aver avviato un percorso di inserimento socio-economico e di autonomia. Aggiunge l’ultimo Rapporto annuale 2009-2010 dello Sprar: “Rispetto all’anno precedente la percentuale degli usciti per integrazione registra un lieve aumento. Tale dato può essere letto alla luce di una maggiore stabilità dei progetti territoriali dello Sprar, che per la prima volta nel biennio 2009-2010 hanno potuto realizzare gli interventi su un arco di tempo maggiore, consentendo di conseguenza una maggiore programmazione dei percorsi di autonomia delle persone e delle uscite dal sistema”.
Nel 2010, a fronte delle 2.750 uscite, sono entrate nei progettti Sprar quasi 2.900 persone. “Se il tempo medio di accoglienza di un beneficiario risulta essere complessivamente di 207 giorni – precisa il Rapporto annuale -, il risultato subisce delle variazioni se lo si confronta con le varie categorie di progetto. Nei progetti cosiddetti “ordinari” il periodo di permanenza risulta leggermente inferiore a quello generale (200 giorni); per la categoria dei vulnerabili diventa invece superiore e si attesta intorno ai 260 giorni”.
Il totale delle persone che nell’anno hanno usufruito dei progetti Sprar è però di circa 6.850. Questi progetti offrono un’accoglienza integrata, superando la mera distribuzione di vitto e alloggio, e possono essere suddivisi in nove tipologie: assistenza sanitaria e sociale, attività multiculturali, inserimento scolastico, mediazione linguistica e interculturale, orientamento e informazione legale, servizi per l’inserimento abitativo e lavorativo e infine formazione.
Vale la pena di ricordare, tuttavia, che quella dello Sprar rimane un’sperienza in grado di soddisfare solo una parte della domanda d’accoglienza che proviene dai richiedenti asilo e dai rifugiati in Italia. Ancora il Rapporto: “Alla fine del 2010, anno in assoluto con la minore intensità di arrivi via mare, il numero di richiedenti e titolari di protezione internazionale segnalati e non accolti nello Sprar è salito ad oltre 2.500”. Senza contare il fatto che nel solo 2010 hanno chiesto asilo in Italia, in totale, 12.100 persone, e circa 7.500 hanno ottenuto protezione (status di rifugiato, protezione sussidiaria o umanitaria)…
Allegato:
Per un bilancio sociale: i motivi di uscita dallo Sprar (2008-2010) (tabella .xls)
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