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Valsusa, sulla frontiera della neve/2 – L’ultimo confine difficile

Chi sono, quanti sono, da dove arrivano e dove vanno i migranti che dal 2017 percorrono la valle di Susa. In poco più di tre anni il colle del Monginevro è stato attraversato da almeno 12 mila persone. Ma cosa c’è dietro tutto questo? Perché avviene?  È davvero un “destino” per questa valle? Abbiamo iniziato a chiederlo ad alcuni operatori, attivisti e volontari.

Il centro di accoglienza d’urgenza Refuge Solidaire di Briançon sotto la neve (foto Association Refuges Solidaires).

 

La Valsusa, che con il varco di Ventimiglia disegna la “rotta del Nordovest” italiano, registra flussi importanti di migranti “in transito” dal 2017. La chiamano l’ultima frontiera difficile prima del centro-Europa.

Oggi attraverso il tunnel del Fréjus, via Bardonecchia, provano a entrare legalmente in Francia, in treno o sui Flixbus, migranti di varia origine e con documenti più o meno in regola, magari perché vivono in Italia da tempo.

Però dal 2018 molti altri cercano di passare “illegalmente” a piedi il Monginevro, che è tra i colli più bassi delle Alpi ma pur sempre a 1.850 metri di quota. Questo passo ha sostituito nei passaparola delle “rotte” migratorie il colle della Scala, nella zona di Bardonecchia, che è ancora più basso, d’estate è un innocuo passo stradale turistico e però durante l’inverno è chiuso per il rischio di valanghe.

Secondo l’ultimo rapporto di Medici per i diritti umani (MEDU), nato e curato in valle da Piero Gorza, referente regionale della ONG e dall’avvocata Rita Moschella, nel 2020 hanno attraversato il Monginevro almeno 2.000 migranti, come del resto nel 2019.

Però nel 2020 la maggior parte (tre su quattro) si sono affacciati al colle dopo aver subito le fatiche, gli stenti e le violenze della rotta balcanica: sono soprattutto afghani e iraniani, mentre negli anni precedenti si trattava perlopiù di giovani e uomini di origine africana sbarcati in Italia.

Fra gli arrivi dalla rotta balcanica anche numerose famiglie con bambini, ragazzi e donne incinte. Un forte aumento di tentativi e di passaggi si è registrato soprattutto fra l’ultima estate, dopo il lockdown di primavera, e la fine dell’anno, con numeri che hanno messo a dura prova l’accoglienza in valle.

12 mila in tre anni

A Briançon, la cittadina francese ai piedi del Monginevro, il Refuge solidaire aperto da una rete di attivisti e volontari nel 2017 ha accolto nel 2019 1.968 persone e nel 2020 2.248 (dato a fine novembre, fonte il movimento Tous Migrants). Dal luglio 2017 a tutto novembre 2020 gli ospiti sono stati 11.632: praticamente 12 mila, con buona approssimazione il numero dei migranti che sono riusciti a passare il colle in poco più di tre anni.

Sul versante italiano le due strutture di accoglienza, entrambe a Oulx, il rifugio Fraternità Massi (aperto vicino alla stazione in locali messi a disposizione dai Salesiani) e il “rifugio autogestito” Chez JesOulx, hanno scelto di non registrare i nomi degli ospiti, mentre gli attivisti di Chez JesOulx di non conteggiarli affatto.

Solo fra settembre e dicembre 2020, MEDU calcola un totale di oltre 4.700 presenze notturne: 1.200 al Rifugio, cioè in media 10 al giorno nel quadrimestre e in media una ventina nel mese dicembre (il servizio è aperto dalle 16.00 alle 10.00 di mattina) e 3.500 a Chez JesOulx, in media 30 al giorno ma con punte di oltre 50 persone (la casa è aperta tutta la giornata). Si tratta appunto di presenze, che possono registrare più volte le persone che sono state ospitate più di una notte, magari perché respinte al colle o a Bardonecchia. Ma ci sono anche migranti che possono passare senza fermarsi ai due rifugi.

Un bilancio approssimativo su chi è passato in valle in cerca di un futuro migliore negli ultimi tre anni indica fra le provenienze più numerose il Pakistan e la Guinea, seguiti dall’Afghanistan, dalla Costa d’Avorio, dall’Iran, dal Mali, dall’Irak e, con numeri più ridotti e a volte minimi, da altre decine di Paesi d’Africa e d’Asia (fonte di questi dati, il progetto MigrAlp).

NON C’È SOLO L’INVERNO/1 – La voce del Rifugio: “Abbiamo bisogno di chiarezza”

C’è l’inverno e c’è la neve, e fa freddo. Ci sono i migranti di passaggio in valle. C’è una rete di volontari, attivisti e operatori che allevia sofferenze, fatiche ed evita disgrazie irreparabili. Ma cosa c’è dietro tutto questo? Perché avviene?  È davvero un destino per questa valle? Lo abbiamo chiesto ad alcuni operatori, attivisti e volontari in valle di Susa.

«Il nostro Rifugio è nato nel 2018 per rispondere a una forte esigenza di accoglienza per i migranti in viaggio: ricordiamo che nell’inverno 2017-2018 fra la Valsusa e Briançon c’erano state tre morti per assideramento. Più che le frontiere a noi interessa l’uomo, la persona a 360 gradi. E su queste basi osserviamo un aspetto individuale: il desiderio naturale che è in ogni persona di migliorare la propria vita. Vediamo poi che i migranti che arrivano da noi in genere non sono i più poveri: per arrivare fin qui bisogna avere delle risorse. E qui entrano in gioco lo sfruttamento e il business illegale generati dalle barriere che i migranti incontrano. Sarebbe diverso se ci fossero accordi internazionali per aprire canali di passaggio realistici. Ma gli accordi sono stati fatti solo per bloccare le persone: su questo tema l’UE non è certo un’“Unione”, ogni Paese agisce secondo nazionalismi più o meno forti. Papa Francesco nella Fratelli tutti è stato chiaro sulla necessità di “agire insieme” fra Paesi (anche se nell’enciclica si riferisce alla pandemia di COVID-19). Le migrazioni vanno guidate e gestite. Io temo che impoveriscano ulteriormente le nazioni di partenza, perché sottraggono le energie umane migliori: è un discorso di progettualità globale. Ma qui, intanto, abbiamo bisogno di una maggiore chiarezza da parte dei nostri Paesi, del nostro Paese: dalle emergenze che viviamo in valle ai bisogni di integrazione dei migranti che vivono da noi, al di là dell’accoglienza temporanea» (don LUIGI CHIAMPO, responsabile del Rifugio Fraternità Massi e parroco di Bussoleno).

In genere sia i singoli che le famiglie, soprattutto se arrivati dai Balcani, desiderano lasciare l’Italia il prima possibile. Vedono già vicina la loro meta. E dovranno presto iniziare a ripagare i debiti per un viaggio che può durare anni, e costare decine di migliaia di euro a una sola famiglia. Le autorità italiane non fanno nulla per ostacolarli.

Più che alla Francia puntano soprattutto alla Germania, ma anche al Belgio e all’Inghilterra. Pensa di fermarsi in Francia, come avviene dal ’17, perlopiù chi ha lasciato l’Africa francofona. Pochi si arrendono di fronte a uno, due, tre e più respingimenti, qualcuno riprova a Ventimiglia. E quasi tutti, prima o poi, ce la fanno. 

Metti una sera a capodanno

(Foto Res. Supp. Media/James Crawford).

L’ultimo capodanno ha provato a passare a Claviere un’ennesima famiglia afghana. Middle class: madre insegnante, sessantenne, vedova di un medico e malata di cuore con pacemaker, un figlio di 25 anni e una figlia di 19. Il ragazzo a Kabul militava in un’organizzazione a favore dei diritti delle donne: è bastato per attirare su tutta la famiglia delle minacce di morte.

Sono fuggiti in aereo a Dubai e di là, dopo aver acquistato un passaporto falso a 15 mila dollari a testa, a Budapest, dove però sono stati fermati e deportati al confine con la Serbia su un furgone: respinti. Dopo 11 mesi in Serbia, pagando 5.000 euro a testa ai passeur ce l’hanno fatta a entrare in Croazia, poi in Slovenia e in Italia. Provano a passare a Ventimiglia, non ce la fanno. Provano in Valsusa, sono respinti un paio di volte. Riprovano a Ventimiglia e finalmente riescono. Oggi sono in Germania, dove hanno già avviato le pratiche per l’asilo.

In questi giorni il Piemonte è entrato in un nuovo lockdown, ma i passaggi non sono diminuiti. Ieri notte a Oulx si sono contati 30 ospiti in ognuno dei due rifugi.

Solo nei primi due mesi di questo 2021 la Croce Rossa di Susa ha informato o assistito fra Claviere, Cesana e Bardonecchia 566 migranti. Fra loro anche 10 famiglie. Nello stesso periodo risultano più di 200 respingimenti al Fréjus e più di 107 a Claviere.

NON C’È SOLO L’INVERNO/2 – MEDU: “‘Corridoi’ e passaggi che rispettano i diritti umani avrebbero costi molto inferiori”

«Non sono problemi solo italiani, molte frontiere oggi si assomigliano in questo. Le situazioni locali rimandano a politiche di controllo dei flussi e di delocalizzazione che si riproducono di frontiera in frontiera: politiche inefficienti e crudeli che hanno dei costi altissimi. Sicuramente, gestire i flussi migratori in modo umanitario e più razionale costerebbe molto meno. Nel Nord Italia questo che cosa significherebbe? Facciamo l’esempio della frontiera. La militarizzazione ha già di per sé dei costi altissimi. Il mercato dei transiti e degli smuggler è redditizio anche se criminale… E questi costi alla fine ricadono in modo disumano su chi emigra. Quando invece sarebbe possibile gestire corridoi umanitari e passaggi delle frontiere nel rispetto dei diritti umani e della dignità delle persone» (PIERO GORZA, coordinatore Medici per i diritti umani-MEDU per il Piemonte).

(segue in una prossima news)

Leggi anche su Vie di fuga

Valsusa, sulla frontiera della neve/1 – Dove passano gli “invisibili”

Allegati

Il rapporto sulla rotta Nord-Ovest delle Alpi: la Valle di Susa (MEDU, febbraio 2021, file .pdf)

Rapporto sulla situazione umanitaria dei migranti in transito lungo la frontiera Nord-Ovest tra Italia e Francia (MEDU, ottobre 2020, file .pdf)

 

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