Un gruppo di associazioni, coordinamenti e organismi del privato sociale ha indirizzato al ministro dell’Interno una lettera aperta sul decreto del marzo 2017 per la fornitura di beni e servizi nei centri di primo soccorso e accoglienza, in quelli di prima accoglienza e nei CAS. Secondo i sottoscrittori del documento, lo schema di capitolato di gara d’appalto stabilito dal decreto sembra premiare solo l’accoglienza dei “grandi numeri”. Un promemoria per il prossimo inquilino del Viminale…
«Molte realtà di consolidata esperienza stanno oggi scegliendo di non partecipare ai bandi per la fornitura di beni e servizi per i richiedenti asilo, dal momento che i nuovi criteri di accesso, ove fossero applicati alla lettera, renderebbero insostenibile economicamente un lavoro di qualità orientato a piccoli numeri di persone accolte e alla qualità dell’accoglienza, rischiando di fatto una resa rispetto all’accesso ai servizi socio-sanitari del territorio».
Con primo firmatario don Luigi Ciotti del Gruppo Abele, un gruppo di associazioni, coordinamenti e organismi del privato sociale ha indirizzato in queste settimane al ministro dell’Interno uscente Marco Minniti una lettera sul DM del 7 marzo 2017 per l’affidamento della fornitura di «beni e servizi» nei centri di primo soccorso e accoglienza, in quelli di prima accoglienza e nei CAS.
“Accoglienza diffusa, addio?”
Secondo i sottoscrittori del documento, lo schema di capitolato di gara d’appalto stabilito dal decreto «sembra orientato a premiare le realtà che propongono l’accoglienza di grandi numeri di persone attraverso la fornitura di beni e servizi standardizzati».
«Se questo può forse garantire una maggiore trasparenza sulla qualità dei servizi resi nelle grandi strutture collettive – si argomenta nella lettera -, costringere l'”accoglienza diffusa” ad adottare gli stessi parametri di servizio è incongruo e produce l’effetto paradossale di far cessare proprio la modalità di accoglienza avente maggior qualità in quanto (oggi, ndr) assimilabile spesso agli standard SPRAR».
Tre questioni più una
Le realtà firmatarie sottolineano in particolare tre aspetti critici: l’assistenza sanitaria, la dotazione base di beni e servizi e il numero minimo di personale dipendente. E chiedono che il Viminale emani «chiare indicazioni» alle Prefetture precisando che dove si fa “accoglienza diffusa” e integrata col territorio in appartamenti o piccole accoglienze fino a 20 ospiti, per l’erogazione dei servizi di accoglienza e assistenza si deve far riferimento a quanto previsto nel Manuale operativo SPRAR del 2015.
Solo così «sarà possibile proseguire sulla strada, indicata dallo stesso Ministero, di progressivo “assorbimento” dei CAS nello SPRAR utilizzando il nuovo capitolato d’appalto dei CAS per accelerare questo processo».
Vittime di tratta, “indispensabili i piccoli numeri”
Nel documento trovano spazio anche le particolari esigenze delle vittime di tratta, numerose fra i richiedenti asilo»: «In questi anni sul territorio si sono sperimentate, a livello informale, realtà di accoglienza specifiche, in accordo e spesso su richiesta delle Prefetture.
La specificità di questi interventi richiede la predisposizione di servizi di accoglienza esclusivamente basati su piccoli numeri, mentre i nuovi criteri ancora una volta rischiano di rendere difficile se non impossibile la realizzazione di detti progetti».
La lettera al ministro Minniti è stata sottoscritta, oltre che da don Ciotti per il Gruppo Abele, dai rappresentanti dell’ASGI, del CNCA, del Coordinamento Europasilo, della Fondazione Migrantes, del Servizio tratta dell’USMI (Unione superiore maggiori d’Italia), di Emmaus Italia, del Coordinamento Non solo asilo, di On the Road, Liberazione e speranza, TAMPEP ONLUS, della Comunità di San Benedetto al Porto e delle Discepole del Vangelo.
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