La legge di bilancio approvata a fine dicembre interviene fra l’altro sul filo doppio che nelle politiche italiane (ma prima di tutto internazionali) lega l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) e le spese per l’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. Queste ultime sono conteggiate come parte delle risorse dedicate alla cooperazione, ma per le ONG europee questa prassi determina gran parte del cosiddetto “aiuto gonfiato” .
Cooperazione allo sviluppo e accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo: l’ultima legge di bilancio approvata alla fine di dicembre ha compiuto qualche (piccolo) passo in avanti.
Si prevede, prima di tutto, un incremento delle risorse destinate all’APS (aiuto pubblico allo sviluppo) pari a 1,2 miliardi di euro fra 2022 e 2026: secondo stime contenute in un’analisi della fondazione-osservatorio Openpolis, si passerebbe dallo 0,24% del reddito nazionale lordo nel 2021 allo 0,27% nel 2026 (un dato peraltro ancora molto distante dall’impegno internazionale di raggiungere lo 0,7% entro il 2030).
Se l’OCSE permette…
Ma c’è anche la questione del “filo doppio” che lega fra loro le risorse destinate alla cooperazione e quelle per l’accoglienza, nelle politiche italiane ma, va detto, prima di tutto in quelle internazionali.
«La ragione per cui queste due materie sono collegate – spiega Openpolis – è legata principalmente al fatto che le regole del comitato DAC dell’OCSE prevedono la possibilità di conteggiare una parte delle risorse destinate all’accoglienza come cooperazione. Una regola che alcuni anni fa ha portato a un aumento in parte fittizio dell’APS. La crescita infatti era in gran parte dovuta a risorse che a tutti gli effetti erano utilizzate interamente nel nostro Paese. Si tratta insomma della principale componente di quello che Concord Europe (la rete europea delle ONG di assistenza e sviluppo, ndr) chiama “aiuto gonfiato“».
È un escamotage con patente di alto livello, appunto quella dell’OCSE, ma in fondo illogico e (diciamolo) eticamente gretto, perché accogliere “a posteriori” chi fugge o si sente costretto a partire dal Sud del mondo ha ben poco a che fare con lo “sviluppo” di quell’area. Tanto più che in Italia fra 2016 e 2017 la quota di APS alla voce “rifugiati nel Paese donatore” superava il 30% del totale.
Prosegue Openpolis: «Nel 2018 i costi per i rifugiati sostenuti dal Paese donatore hanno iniziato a calare e con questi il valore complessivo dell’APS. A quel punto la nostra richiesta e di molte rappresentanze di ONG di sviluppo fu quella di destinare le risorse non utilizzate per l’accoglienza a veri e propri progetti di cooperazione allo sviluppo. Per tutta risposta però la legge di bilancio per il 2019 stabilì che eventuali risorse risparmiate dal ministero dell’Interno nel settore dell’accoglienza sarebbero state destinate alle esigenze di quello stesso ministero».
Nel 2022 almeno “un cambio di prospettiva”
Poi a fine 2021 almeno una (piccola) svolta: il comma 807 dell’art. monstre n. 1 della legge di bilancio per il 2022 ha stabilito che le risorse eventualmente risparmiate dal Viminale nella gestione dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati saranno assegnate all’Agenzia per la cooperazione.
«A quanto ammonteranno tali risorse è tutto da verificare – commenta ancora Openpolis -. In gran parte questo dipenderà dalle previsioni di spesa del Viminale, dalla sua gestione finanziaria oltre che dall’andamento dei flussi migratori che caratterizzerà i prossimi anni. In ogni caso la norma adottata pone un cambio di prospettiva culturale, destinando eventuali risorse aggiuntive a un settore, quello della cooperazione, che dovrebbe essere considerato strategico anche per la gestione dei flussi migratori. Nel medio periodo infatti solo il miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi a basso e medio reddito potrà consentire di governare i fenomeni di migrazione forzata e di mobilità umana, in particolare verso l’Europa».
SCHEDA/ Cooperazione “gonfiata”, la situazione in Europa e in Italia
(Fonte Il diritto d’asilo. Report 2021 della Fondazione Migrantes, scheda “UE, cooperazione e politiche migratorie”, pp. 154-156). |
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