Sono on line i primi materiali che hanno accompagnato il webinar d’avvio del ciclo “Diritto d’asilo, un percorso di umanità”, organizzato dalla Fondazione Migrantes, dal Forum per cambiare l’ordine delle cose, da Europasilo e da Escapes. Oltre al video completo dei vari interventi, le prime slide e un report. Due i temi: gli scenari in Italia se il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo venisse applicato, e la cooperazione allo sviluppo “dirottata” da anni sul controllo delle frontiere esterne.
La “solidarietà” nel Patto europeo su migrazione e asilo? Definirla pavida è un’espressione ancora gentile: la Commissione UE sembra vagheggiarla più tra i Paesi membri che verso le (poche) persone che riescono ad arrivare ai confini dell’Unione in cerca di protezione. Anzi, per certi aspetti, in Stati come l’Italia l’adozione del Patto potrebbe essere tutt’altro che conveniente. Ma per fortuna si può ancora intervenire sulle sue proposte normative, oggi sotto esame del Consiglio Europeo e dell’Europarlamento.
«Ecco il motivo di questi incontri, in cui cerchiamo di affrontare i problemi dell’asilo in modo semplice e divulgativo – ha detto Cristina Molfetta della Fondazione Migrantes durante il primo webinar del ciclo Diritto d’asilo, un percorso di umanità -: il Patto avrebbe potuto essere diverso, e potrebbe ancora diventare diverso, se le opinioni pubbliche dei nostri Paesi contribuissero a dargli un’altra direzione. Del resto in questi anni è stato facile, in Europa e in Italia, fare leggi contro il diritto d’asilo proprio perché non è un argomento che “scalda i cuori” nel dibattito pubblico, e rimane per pochi».
Il video completo del primo webinar, dal titolo Europa. La pavida solidarietà delle istituzioni verso i rifugiati, è disponibile sul profilo Facebook di Vie di fuga (cliccare qui e attendere l’avvio). Il prossimo webinar del ciclo si terrà il 17 febbraio, sempre su Zoom e su Vie di fuga FB. |
Patto europeo, le conseguenze in Italia: posti in detenzione da moltiplicare per la “procedura d’asilo in frontiera”Mercoledì pomeriggio, nel webinar Sara Prestianni della rete Euromed Rights ha condiviso i risultati di un’analisi sull’impatto che si avrebbe in Italia se il Patto su migrazione e asilo fosse effettivamente applicato. Adottando la “procedura d’asilo alla frontiera” prevista per i richiedenti asilo fuggiti da Paesi con un tasso di riconoscimento del diritto alla protezione sotto il 20%, la Penisola «sarebbe costretta ad aumentare di sette volte la sua capacità di detenzione in luoghi chiusi: dagli attuali 2.000 posti circa fra hotspot e CPR (i Centri di permanenza per il rimpatrio, ex CIE) a 15.000 posti», ha riassunto Prestianni. Ma se l’Italia fosse costretta a invocare in Europa lo stato di “crisi” per afflussi veramente ingenti, i parametri previsti in questo caso dal Patto costringerebbero il nostro Paese a una capienza di detenzione amministrativa superiore di 50 volte a quella attuale. Senza contare che, anche con i meccanismi di “solidarietà” previsti, di fatto «l’onere di gestire le persone rimarrà ai Paesi di frontiera come il nostro. Per l’Italia cambierebbe ben poco in termini di condivisione. Ma sarebbe obbligata a rafforzare il suo sistema detentivo, con quello che ne consegue in termini di violazione dei diritti fondamentali e di trattamenti inumani e degradanti». L’intervento nel video: da 46′ 30” in poi. Materiali: il report Perché il nuovo Patto europeo sulla migrazione penalizza sia l’Italia che i richiedenti asilo (Euromedrights, novembre 2020, file .pdf, 1 mbyte) |
Quella cooperazione “all’europea”«L‘intromissione della politica migratoria dell’UE nella cooperazione per lo sviluppo era già centrale nell’Agenda europea sulla migrazione del 2015, e in continuità lo è anche nel nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo», ha esordito nel suo intervento Andrea Stocchiero della FOCSIV, che ha presentato sia i contenuti chiave del capitolo 6 della Comunicazione con cui la Commissione UE ha presentato il Patto (è il capitolo sulla dimensione esterna), sia i limiti di questa “intromissione”: l’“uso” della cooperazione per contenere i flussi; la diversione di risorse dalla cooperazione con i Paesi ancora più poveri a tutto vantaggio dei Paesi ritenuti “necessari” per contenere le migrazioni; l’impatto sulla mobilità regionale tradizionale dei progetti di gestione delle frontiere in Libia e in Niger; la “condizionalità” degli aiuti; il rafforzamento di regimi autoritari e la riduzione dei diritti; e infine l’assenza di un’impostazione secondo l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e secondo la “coerenza delle politiche per lo sviluppo“, riferimenti oggi considerati necessari per una seria cooperazione con il Sud del mondo. Sui cinque miliardi del Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa (l’EUTF), quasi un terzo, il 31%, è stato stanziato per il controllo delle frontiere (in particolare in Nord Africa): ciascuna delle altre tre voci principali della suddivisione del Fondo (opportunità economiche e di lavoro, resilienza delle comunità e government/prevenzione dei conflitti) ha ricevuto risorse nettamente inferiori. «Il nuovo Patto non è certo “nuovo”, almeno per quando riguarda la dimensione esterna. Si continua con l’esternalizzazione per il contenimento e il rimpatrio, con la strumentalizzazione della cooperazione allo sviluppo e con la debolezza dei canali regolari di ingresso». L’intervento nel video: da 1 h 02′ 30” in poi. Materiali: le slide (file .ppt, 2 mbyte) |
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