In un libretto-reportage il viaggio di una piccola delegazione della Chiesa italiana in Niger. Ma anche il punto sulla situazione di questo poverissimo Paese di passaggio, “interlocutore privilegiato” dell’UE nel contrasto dei flussi migratori, con 234 mila rifugiati e 300 mila sfollati nei suoi confini.
«È la prima volta che incontro una delegazione. Da piccolo ho sofferto e dal mio Paese sono scappato, sono passato per il Ciad, poi sono scappato in Libia. Ho fatto lavori umilianti in Libia e mi hanno pure battezzato schiavo. Dopodiché sono scappato e sono arrivato ad Agadez. Lì nessuno si è preso cura di me, pagavo l’affitto da solo, dopo un mese abbiamo fatto una manifestazione, eravamo più di 180. Volevano portarci indietro. Come rifugiati da quel giorno ci è stato detto “vi garantiamo il cibo”, salvo poi volerci costringere a firmare il nostro ritorno in Ciad, con la minaccia di ributtarci nel deserto. Poi hanno deciso di portarci a Niamey…».
A parlare è Z., un giovane sudanese ospite del campo di Hamdallaye, in Niger, snodo del “Meccanismo di transito di emergenza” (ETM) per l’evacuazione in Niger di rifugiati e richiedenti asilo “vulnerabili” intrappolati in Libia. La testimonianza di Z. è stata raccolta nel libretto-reportage Niger, frontiera della di-speranza (a cura della Fondazione Migrantes, Tau editrice 2021, pp. 72), frutto del viaggio di una piccola delegazione della Chiesa italiana in Niger tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio di quest’anno.
Come il cane e il cammello
«[Qui] non possiamo incontrare nessuno da quattro anni – prosegue il giovane sudanese -. Ogni persona ha delle ambizioni, non vive solo per mangiare o per dormire, per quello vogliamo sapere che destino ci aspetta. Più di sette volte abbiamo fatto manifestazioni di protesta di fronte all’UNHCR. Però durante la nostra manifestazione sono stati allontanati tutti i giornalisti. La seconda volta siamo rimasti dieci giorni senza mangiare e senza bere. Ho manifestato davanti all’ufficio dell’Alto commissariato per tre mesi e 20 giorni. Non ho ancora fatto un’intervista. Quando arrivano i funzionari mi sento “come un cane che abbaia a un cammello” che va per la sua strada».
Sono quattro i temi principali toccati nel libretto-reportage, e ad essi sono dedicati altrettanti capitoli curati da Manuela Valsecchi e Duccio Facchini, direttore della rivista Altreconomia: “Perché il Niger“, “Vite in attesa, il campo di Hamdallaye“, “Vite in transito: il servizio pastorale
per i migranti di padre Armanino” e “L’incontro tra Chiese sorelle“.
“Minori soli presto in Italia a studiare (speriamo)”
Spiega don Giovanni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes, nel suo “Prologo” al volumetto: «Perché il Niger? Perché questo Paese è diventato il punto di passaggio obbligato per tutti i subsahariani che vogliono arrivare in Libia e poi in Europa».
Ma anche «perché qui, nel campo di Hamdallaye nel deserto, a circa 30 chilometri da Niamey, si trovano quei minori soli che le Nazioni Unite hanno salvato dai campi di detenzione libici, insieme ad altre centinaia di persone, e che noi speriamo possano arrivare presto in Italia per motivi di studio e ricominciare a vivere».
Niger, frontiera della di-speranza sarà presto presentato in un incontro pubblico on line. Ma può essere già scaricato su Vie di fuga in formato .pdf (v. sotto negli allegati).
Niger, dati & fatti
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Allegati
Niger, frontiera della di-speranza, la copertina (file .pdf 178 kbyte)
Niger, frontiera della di-speranza, il testo (file .pdf, 3 mbyte)
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