Nel giorno in cui i ministri degli Interni dell’UE si sono riuniti in videoconferenza per discutere del nuovo Patto sulla migrazione e sull’asilo, il Tavolo asilo nazionale chiede al governo Conte di prendere le distanze dalla sua attuale impostazione. Tra l’altro, nonostante la formale “abolizione” del regolamento “Dublino III”, rimarrebbe valido il criterio del primo Paese d’ingresso, che è «particolarmente penalizzante per il nostro Paese».
(Foto Frontex).
Nel giorno in cui i ministri degli Interni dell’UE si sono riuniti in videoconferenza per discutere anche della proposta di nuovo Patto sulla migrazione e sull’asilo, gli organismi e le associazioni del Tavolo asilo nazionale (fra cui la Fondazione Migrantes) chiedono al governo Conte II di prendere le distanze dalla sua attuale impostazione, «nella direzione di una riforma legislativa del sistema di asilo e immigrazione dell’UE ancorata al rispetto dei valori fondamentali dell’Unione quale spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia».
La proposta di Patto avanzata a settembre dalla Commissione Europea presieduta da Ursula von der Leyen, infatti, per il Tavolo nazionale è «allarmante sia per le misure che riguardano la dimensione esterna delle politiche migratorie dell’UE sia per quelle di politica interna», come si legge in una nota diffusa oggi.
Fuori dalle frontiere dell’UE…
Per quanto riguarda la “dimensione esterna”, la bozza di Patto propone misure estremamente dure che hanno l’obiettivo di contrastare i flussi migratori verso l’Unione, di rafforzare la cooperazione tra i Paesi UE e con Paesi terzi per attuare i rimpatri, ma anche di rinforzare ulteriormente il controllo delle frontiere esterne pure attraverso l’agenzia Frontex.
«Nel Patto si afferma di voler aiutare i Paesi terzi a gestire la migrazione irregolare e a rafforzare i loro sistemi di asilo ed accoglienza – argomenta il Tavolo asilo nazionale -, ma quel che emerge è soltanto la volontà di sostenere tali Paesi perché blocchino le persone transitanti verso l’Europa. Anche gli interventi di cooperazione internazionale rischiano di essere orientati solo verso gli Stati che collaborano con le politiche migratorie della UE, stravolgendone senso e finalità. Come si possa garantire a un numero enorme di persone così bloccate in Paesi terzi l’accesso a una protezione legale effettiva, dando loro una prospettiva di vita che non sia il confinamento in campi profughi, è questione del tutto ignorata, così come è rinviata a una discussione futura l’attuazione di percorsi legali di accesso alla UE per motivi di protezione».
Invece, la proposta di Patto non prevede quasi nulla rispetto alla gestione comune degli ingressi per lavoro e per ricerca di lavoro, studio e formazione: c’è solo una minima apertura verso azioni che possono «attirare talenti».
… e dentro i confini
Sul fronte della “dimensione interna”, invece, il Patto prevede la formale abrogazione del regolamento di Dublino, «ma in realtà vengono confermati i criteri in vigore, tra cui quello della competenza all’esame della domanda da parte del primo Paese di ingresso, particolarmente penalizzante per il nostro Paese. La redistribuzione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri resta sostanzialmente volontaria. Ma l’aspetto più irricevibile del testo riguarda la proposta di adozione di una “procedura di frontiera fluida” da applicarsi a “tutti i cittadini di Paesi terzi che attraversano senza autorizzazione”, e in ogni caso ai richiedenti “provenienti da Paesi con bassi tassi di riconoscimento”. Si tratta di procedure accelerate, con garanzie ridottissime, che trasformerebbero l’Italia e gli altri Paesi di primo ingresso in giganteschi hotspot, con i richiedenti asilo collocati in strutture sorvegliate e senza interazioni con l’esterno. Per coloro la cui domanda è stata respinta si applicherebbe la “procedura unionale di rimpatrio alla frontiera”».
Su quest’ultimo punto spiegano ancora gli organismi del Tavolo asilo: «Gli Stati possono divenire responsabili, in termini logistici e finanziari, del rimpatrio di cittadini stranieri che si trovano in altri Paesi UE, e se entro otto mesi il rimpatrio non è effettuato (si va dunque verso una nuova dilatazione dei tempi di trattenimento), allora lo stato “sponsor” deve prendere in carico i migranti trasferendoli nel suo territorio. Si delinea così una nuova, inaccettabile nozione di “solidarietà” che assomiglia a una sorta di permanente mercato tra gli Stati dell’Unione nel quale accettare quote di richiedenti asilo oppure pagare per non averne, o ancora pagare i rimpatri di coloro che sono presenti in altri Stati sono azioni tutte liberamente disponibili».
Per il Tavolo asilo nazionale hanno sottoscritto l’appello A Buon Diritto, ACLI, ActionAid, Amnesty International Italia, ASGI, ARCI, Caritas Italiana, Centro Astalli, CNCA, Comunità Papa Giovanni XXIII, Emergency, Europasilo, Focus-Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, Intersos, Legambiente, Medecins du Monde-Missione Italia, MSF, Oxfam Italia, Refugees Welcome Italia, Save the Children, Senza Confine e SIMM.
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