Come sono state accolte le ormai 1.700 persone (quasi tutte richiedenti asilo) assegnate al Piemonte dopo essere sbarcate a Lampedusa nel corso dell'”emergenza Nord-Africa”? Risponde un critico contributo che poggia le sue riflessioni sulle visite alle diverse realtà di accoglienza realizzate da operatori di Migrantes, della Caritas e del coordinamento Non solo asilo.
A cura di Cristina Molfetta *
Indice
1. La situazione delle accoglienze
I dati sulle presenze attuali “ufficiali”[1], cioè in base ai dati della Protezione civile, di richiedenti asilo e di tunisini con permesso umanitario arrivati a Lampedusa e ora presenti sul territorio regionale piemontese sono i seguenti.
Si tratta di oltre 1.700 persone, di cui il 77% in provincia di Torino (circa 1.300 persone) di cui quasi 600 nella sola città di Torino. Con un flusso di arrivo costante di circa 50 persone a settimana che non sembra dover diminuire nei prossimi mesi. Si evince immediatamente uno squilibrio di presenze sul territorio regionale. Se si dividono infatti le 1.700 presenze per Province si hanno:
- provincia di Alessandria poco più di 160 persone
- provincia di Asti circa 40 perone
- provincia di Biella circa 50 persone
- provincia di Cuneo circa 130 persone
- provincia di Torino circa 1300 persone
- provincia di Vercelli poco più di 10 persone.
Invece nelle province di Novara e Verbania-Cusio-Ossola non risulta ancora nessuna presenza.
(Nella regione confinante della Valle d’Aosta, a fine settembre 2011 risultano accolte con i fondi “emergenza” circa 160 persone).
Sempre secondo i dati e le analisi forniti dalla Protezione civile le prime cinque nazionalità delle persone presenti sul territorio piemontese sono le seguenti:
- Nigeria più di 450 persone
- Ghana quasi 250 persone
- Mali più di 160 persone
- Bangladesh quasi 160 persone
- Costa D’avorio quasi 160 persone.
Considerato che in base ai dati ufficiali degli anni passati le prime quattro di queste cinque nazionalità hanno tassi di riconoscimento (status di rifugiato o protezione internazionale) molto bassi dopo aver sostenuto il colloquio davanti alle diverse Commissioni territoriali nazionali competenti per l’analisi delle richieste d’asilo, sorgono alcuni interrogativi.
Visto che ormai i tempi di attesa per arrivare davanti alla Commissione sono tra i 6 gli 11 mesi, se i 2/3 di queste 1.700 persone non verranno riconosciute che cosa accadrà loro? Come gestire la frustrazione di un diniego al termine di un percorso che si è tradotto in una lunga attesa dopo che abbiamo “obbligato” queste persone a fare richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione, pur sapendo fin dall’inizio che alcuni di loro avevano possibilità davvero scarse di vederselo riconosciuto? Non sarebbe stato meglio riconoscere a tutti una protezione umanitaria di un anno, dando a loro e noi il tempo di mettere in piedi seri programmi di rimpatrio per chi li desiderava, di trovare un lavoro o costruirsi un’autonomia, o di fare domanda d’asilo o di protezione internazionale se la storia personale o il Paese di provenienza indicavano che questa era una procedura che aveva senso?
2. I nodi critici emersi fino ad oggi
- Sono numerose le situazioni di inadeguatezza o per le dimensioni e i luoghi scelti per l’accoglienza (luoghi dove si concentrano più di 100 persone, luoghi a 1.600 metri di altitudine nei quali le persone sono isolate, persone ospitate in alberghi) o per l’estrema fragilità da parte degli enti gestori, che non hanno competenze specifiche non solo sui richiedenti asilo ma, a volte, neanche sui migranti in generale o sulla normativa del nostro Paese (siano essi albergatori o associazioni/cooperative senza esperienza a riguardo). Questa mancanca di competenze porta ad esempio a non aver ancora iscritto chi è arrivato, anche da alcuni mesi, al Servizio sanitario nazionale (cosa che nella nostra regione dovrebbe essere molto facile), al non dare corrette risposte rispetto al sistema d’asilo o al non aiutare le persone alla preparazione del colloqui prima di incontrare la Commissione territoriale, ad alimentare false aspettative sulla modalità di ottenere o meno un riconoscimento internazionale, a non offrire corsi di italiano, una presenza di mediazione culturale, o a tenere quasi in uno stato di segregazione o separazione le persone accolte…
- Nasce quindi la necessità non solo di monitorare, ma anche di garantire livelli standard di accoglienza/integrazione in tutta la regione per richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale, siano essi accolti in progetti nati durante l’“emergenza” o progetti Sprar o progetti della Città di Torino o progetti del Coordinamento Non solo asilo. Già il sistema preesistente aveva carenze (ad esempio, l’esclusione di molte persone e la mancanza di tempi e fondi per garantire non solo l’accoglienza, ma anche reali percorsi di autonomia). Ma ora non è certo un bene che l’”emergenza”, piuttosto che un’occasione per migliorare gli standard, contribuisca ad abbassarli ulteriormente.
- Occorre uscire da una logica di accordo privato tra chi offre una disponibilità alloggiativa e la Protezione civile, entrando invece in una logica di acquisizione di responsabilità comunale, provinciale, istituzionale che coinvolga tutta la società civile di un territorio rispetto alle sue presenze (anche perché le persone quando arrivano non sono “proprietà privata” di un qualche gestore, ma hanno una “ricaduta” su tutto il tessuto sociale, sull’opinione pubblica, sui servizi sociali ecc…).
- Permane il problema di certezza delle risorse dopo il dicembre 2011, unito alla frustrazione montante per i lunghi tempi di attesa prima di essere ascoltati dalla Commissione territoriale.
3. Alcuni suggerimenti
Bisogna provare a costruire un servizio che garantisca standard minimi regionali di accoglienza e che colmi le più gravi lacune degli enti gestori più fragili, realizzando materiali da diffondere e mettendo a disposizione persone di riferimento competenti rispetto ad ogni settore (sanità, mediazione culturale, procedura per la domanda di asilo, corsi di italiano ecc…) sia a livello regionale che provinciale.
Sarebbe giusto riuscire a fare emergere le reali presenze dei richiedenti asilo o dei tunisini con permesso umanitario effettivamente sul territorio regionale, al di là di quelli che risultano nelle liste ufficiali della Protezione civile, per riuscire ad esempio ad includere nell’accoglienza e nei successivi percorsi di autonomia anche chi non arriva o non è arrivato da Lampedusa, ma continua a non avere alloggio.
Una volta avuto il quadro preciso sia delle persone richiedenti asilo sia dei titolari di un qualsiasi permesso di soggiorno di tutela internazionale nel teritorio regionale, bisognerebbe riuscire ad equilibrare le presenze sul territorio rispetto a due principi: da una parte una proporzionalità di presenze rispetto alla popolazione in base al criterio di una persona accolta ogni 1.000 abitanti, e dall’altra la cura di un bilancio delle competenze, capacità e desideri di queste persone, da far combaciare/abbinare alle potenzialità di richieste di lavoro o disponibilità di accoglienza che emergono dal territorio.
Si potrebbe sperimentare, rispetto ad eventuali disponibilità alloggiative che potrebbero emergere a Novara o attorno a Novara (in ambito Caritas), una nuova modalità di accoglienza delle persone: prima dell’arrivo in zona, la Regione potrebbe convocare un tavolo con la presenza delle forze istituzionali, i Comuni coinvolti, Provincia, Questura, Centro dell’impiego, USL e CTP del territorio per concordare fin da subito un’assunzione e una condivisone di responsabilità.
A livello nazionale si è pensato, rispetto alle persone appena arrivate o che si trovano nell’iter della richiesta d’asilo o che hanno ricevuto il diniego ma non hanno ancora fatto ricorso, di creare un programma di rimpatrio per circa 600 persone e con un “budget” di 200 euro a persona[2]. Sarebbe auspicabile che il programma includesse anche chi decide di fare ricorso e riceve un ulteriore diniego, così come le persone che si trovano nei Cie. E la cifra di 200 euro potrebbe essere innalzata sino ad arrivare a una somma che consenta realmente di accompagnare e sostenere almeno per un breve periodo la persona che decide di tornare nel proprio Paese.
[Le riflessioni e le problematicità presentate in questo contributo derivano da visite alle diverse realtà di accoglienza che negli ultimi due mesi operatori di Migrantes, Caritas e del Coordinamento Non solo asilo hanno realizzato su tutto il territorio regionale, confrontandosi anche con le istituzioni regionali e con il Tavolo di co-progettazione regionale].
INTEGRAZIONI
“Emergenza”?
Quante persone sono uscite dalla Libia dirette verso altri Paesi negli stessi mesi in cui 25.935 persone fuggite dalla Libia sono sbarcate nella nostra Lampedusa? Durante il seminario nazionale di Caritas Italia sull’emergenza del Nord Africa che si è tenuto a Roma il 25 e il 26 settembre scorsi sono stati diffusi questi dati raccolti dalla Organizzazione mondiale migrazioni: al 14 settembre erano uscite dalla Libia in varie direzioni circa 685.744 persone di cui: 291.101 sono in Tunisia, 13.962 in Algeria, 79.601 in Nigeria, 50.564 in Ciad e 220.247 in Egitto. Ma noi siamo quelli che più di tutti hanno gridato all’emergenza e all’invasione.
Ricorsi
Sempre al seminario Caritas del 25-26 settembre si è toccato l’argomento dei ricorsi in caso di diniego. Caritas Italia è intenzionata a suggerire e perseguire la via di proporli a tutti coloro che vedono respinta la loro domanda d’asilo: secondo gli avvocati presenti al seminario è una palese incongruenza il fatto che le persone vengano accolte con fondi per un’emergenza umanitaria, parola che viene riportata quasi in ogni ordinanza o decreto che le riguarda, e che poi non venga loro riconosciuta almeno la protezione umanitaria. Vale la pena di ricordare che il ricorso è gratuito e che si può anche fruire del gratuito patrocinio; ci sono però dei “costi vivi” che si aggirano sui 95 euro in marche da bollo ecc.
Materiali di sensibilizzazione/formazione
- Percorsi didattici per le scuole medie inferiori e superiori si trovano sui siti www.migrantitorino.it e www.nonsoloasilo.org.
- Le informazioni su un Laboratorio sul diritto d’asilo si trovano sui medesimi siti . Questo corso è già partito e la partecipazione è vincolata a 20 studenti della laurea specialistica in Antropologia culturale ed Etnologia o Sociologia e a operatori sociali del Coordinamento Non solo asilo con almeno due anni di esperienza di lavoro con richiedenti asilo e rifugiati. Ma i testi dei relatori intervenuti così come i materiali prodotti dai lavori di gruppo durante il laboratorio saranno resi disponibili a fine corso, probabilmente nel primo trimestre del 2012).
- Ancora su www.nonsoloasilo.org si trovano diverse schede-Paese di approfondimento sulle aree di provenienza dei richiedenti asilo sia al link Da dove vengono i rifugiati (Afghanistan, Pakistan, Nigeria, Iran, Ciad, Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan) sia al link Attualità (Libia, Tunisia, Egitto, Algeria e Siria).
Che cosa si può fare a breve
Appena si avrà un riscontro dello stato delle domande d’asilo in ogni provincia del Piemonte chiedendo informazioni ai diversi enti gestori e si potrà sapere all’incirca quante persone hanno già un permesso di soggiorno, quante sono state “diniegate” e quante passeranno davanti alla Commissione territoriale, sarà importante rifare un appello specifico nelle diocesi e nelle parrocchie di tutta la regione per individuare realtà, famiglie e case disponibili per pensare a percorsi di “seconda accoglienza”.
Sia come Coordinamento Non solo asilo sia come Tavolo di co-progettazione si sta pensando, sia con la Regione Piemonte che con la Provincia di Torino, alla possibilità di realizzare corsi di formazione specifica per operatori che stanno lavorando nell’ “emergenza” con richiedenti asilo (operatori di strutture alberghiere, associazioni, cooperative Caritas ecc.) e che abbiano meno di due anni di esperienza in questo settore. Questi corsi dovrebbero tenersi in ogni provincia.
* referente rifugiati Ufficio Pastorale Migranti Torino
NOTE
Ancora nessun commento, aggiungi il tuo qui sotto!