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Emergenza Nord-Africa/2 – I diritti negati

Piazza Garibaldi - Napoli

Yasmine Accardo di Garibaldi 101 racconta un’”Emergenza Nord-Africa” che in Campania ha calpestato diritti e negato opportunità di vivere una vita dignitosa. 

I ragazzi non avevano nulla. In un’immagine possiamo riassumere quello che hanno passato: cercavano abiti e scarpe nella spazzatura. Non hanno trovato nessun mediatore culturale. Nessun legale. Nessun aiuto psicologico. E nemmeno i corsi d’italiano, non esisteva nulla per la gestione del tempo  libero i Corsi di formazione lavoro non sono mai stati attivati. Gli albergatori, interrogati su queste mancanze, ci parlavano di problemi con la Protezione Civile, dicendoci che non avevano avuto nessuna particolare istruzione in merito. Peccato che tutti gli albergatori avessero firmato un contratto in cui gli hotel, come enti di accoglienza giudicati idonei dalla Protezione Civile, si assumevano tutte le responsabilità di un CARA. Siamo riusciti a ottenere copia di questo contratto e abbiamo cominciato una massiccia azione d’informazione ai ragazzi sui loro diritti e  doveri, con l’aiuto di un avvocato dell’ASGI e grazie alla collaborazione di due rappresentanti della CGIL

Come è stato gestito l’aspetto sanitario?

Non c’era una vera assistenza medica e per molti mesi non hanno avuto nessuna tessera sanitaria. Due o tre medici, sono intervenuti nel primo mese di permanenza negli hotel e davano la tessera sanitaria soltanto alle persone malate. La mancanze delle tessere sanitarie ha comportato difficoltà di accesso ai servizi; molti ragazzi hanno cominciato a curarsi con la medicina tradizionale o con il metodo degli albergatori: Oki per tutti. Quando si sono mossi verso gli ospedali non c’è stato nessun tipo di accompagnamento (lo abbiamo fatto noi, come volontari, per diversi mesi). La chiamata del medico dipendeva dall’albergatore, che talvolta si è persino rifiutato di farla, fingendo mancanza di denaro. Molti ragazzi hanno visto le loro patologie aggravarsi: parassitosi, problemi ortopedici, mal di testa (in un caso la TAC è stata fatta solo due mesi fa, e la diagnosi è stata di aneurisma). E’ stato persino sottovalutato il problema di un ragazzo che è poi morto per tumore epatico nel Beneventano. Non parliamo poi della depressione e di coloro che sono arrivati con gravi disturbi psicologici: non sono mai stati visti da uno psicoterapeuta. Abbiamo cominciato a muoverci per costruire un rete tampone di appoggio di medici, in attesa dell’attivazione di quella locale, che ha cominciato a essere attiva solo dopo molti mesi di proteste all’interno degli hotel.

E per quanto riguarda la spiegazione dell’iter dell’asilo politico e l’assistenza legale?

Nessuna mediazione. Se non fosse stato per l’organizzazione tra i ragazzi stessi, l’aiuto reciproco e di nuovo i volontari e le riunioni per dare un minimo di orientamento del territorio, ognuno di loro avrebbe dovuto cavarsela in totale autonomia. A volte le riunioni hanno acceso contrasti tra le comunità presenti negli hotel: sono scaturite minacce, anche scontri, per fortuna mai sfociati in cose gravi, ma che non hanno certo aiutato le comunità più deboli come quella bengalese. 

Quando abbiamo parlato con i ragazzi la prima volta non avevano alcuna idea di cosa significasse essere richiedente asilo e del lungo percorso che li aspettava tra commissione e ricorsi: erano tutti convinti che la commissione fosse una mera formalità. Abbiamo creato una rete che prepara i ragazzi ad affrontare la Commissione, in modo da poter esporre in modo adeguato la propria storia. Poi sono arrivati i legali, a novembre 2011, a fronte dei primi dinieghi. Molti ragazzi sono analfabeti e sono stati “costretti” a firmare la nomina ad avvocati che non parlavano nemmeno una lingua straniera, che non gli han detto altro che: se non firmate, verrete buttati fuori dall’hotel, questo persino in presenza dei poliziotti. Il tutto in pochi minuti! Con avvocati che per mesi non hanno dato loro nessuna notizia.

Come associazione ufficialmente riconosciuta avete provato a interagire con altre realtà, istituzionali e non, del vostro territorio per creare una rete? 

Sono le realtà locali di volontariato che hanno sopperito alle enormi mancanze di servizi. Noi abbiamo interagito con altre associazioni,  istituzionali – come lo Sprar – e non – come vari gruppi di volontariato. Aiuti concreti ai ragazzi sono giunti dalla LESS (ente Sprar) che ha aiutato i ragazzi nella ricostruzione delle storie personali per la commissione, nell’ottenimento delle tessere sanitarie e negli accompagnamenti agli ospedali; hanno inoltre fornito uno psicologo e sono firmatari dell’esposto alla Procura con noi (insieme alla Camera del Lavoro di Napoli e l’Associazione Rifugiati); dalla rete Commons di Benevento che ha organizzato classi di italiano, gli accompagnamenti all’ospedale, l’aiuto legale e ha segnalato situazioni anomale sia in commissione che negli hotel. A Pomigliano un gruppo di volontari hanno aiutato e seguito i ragazzi insieme allo studio legale Nesta e a degli psicologi.

Su tutto ciò che ho raccontato l’associazione Garibaldi 101 ha chiesto diverse volte di incontrare il sindaco che in una conferenza stampa ci disse che si sarebbe impegnato per il permesso per motivi umanitari e per un’assistenza migliore. Ma a parte l’adesione alla campagna di Melting-pot, non è stato fatto altro.

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