Nel 2021 sono stati più di mille i migranti presi in carico ogni mese dalla casa cantoniera occupata sgomberata l’altra settimana e dal rifugio Fraternità Massi a Oulx, «con un trend ancora in crescita nonostante le limitazioni e i rischi derivanti dalla pandemia». L’ONG ha anche ricostruito con i genitori l’episodio della ragazzina afghana di 12 anni respinta al Monginevro e poi ricoverata sotto shock all’ospedale infantile di Torino.
«E adesso che cosa accadrà? È facile prevedere come lo sgombero, insieme al restringimento dei luoghi di accoglienza sui due lati del confine e l’aumento dei controlli alla frontiera ultimamente registrati, si ripercuoterà inevitabilmente sulle persone più vulnerabili senza apportare nessuna soluzione alla crisi umanitaria dei migranti».
L’ONG Medici per i diritti umani (MEDU) ha preso posizione in queste ore sui recenti fatti in alta Valsusa, dopo lo sgombero della casa cantoniera occupata, il 23 marzo, e il grave episodio della ragazzina afghana ricoverata il 26 all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino dopo essere stata respinta con la famiglia al colle del Monginevro.
MEDU, che è presente in valle con suoi volontari, stima solo nell’ultimo febbraio 700 presenze di migranti “di passaggio” alla casa cantoniera e nei primi 20 giorni di marzo circa 800. Quanto al rifugio Fraternità Massi, a febbraio se ne sono contate circa 500: fra loro, 200 di migranti appena arrivati a Oulx, 60 respinti da Claviere e più di 200 fermati al confine di Bardonecchia perché con documenti ritenuti non in regola.
«Pur con grande difetto – calcola MEDU – è possibile concludere che nel 2021 siano state più di mille le persone accolte ogni mese nelle due strutture, con un trend ancora in crescita nonostante le limitazioni e i rischi derivanti dalla pandemia in corso. I dati e le informazioni che provengono dall’area balcanica lasciano inoltre ipotizzare con realismo una ripresa delle partenze».
Un rifugio h 24
Dal 23 marzo il rifugio Massi, l’unico rimasto attivo a Oulx, è stato costretto a rimanere aperto 24 ore su 24 (prima apriva alle 16.00 per chiudere alle 10.00 della mattina) per accogliere le famiglie trasferite dalla casa cantoniera, «mentre gli altri ospiti hanno cercato di partire o di accamparsi in altri luoghi del paese». Solo oggi si è provato a ripristinare l’orario normale.
Il giorno dopo lo sgombero della casa cantoniera, il rifugio si è ritrovato con una settantina di ospiti, al di sopra della sua capienza. Oggi la situazione rimane preoccupante, «spesso con difficoltà a rispettare le misure minime di distanziamento sociale, con rischi evidenti per gli operatori, le persone accolte e la popolazione in generale. Inoltre – come ricorda MEDU – il rifugio può funzionare e rispondere ai bisogni basilari dei migranti accolti solo grazie ai tanti volontari e solidali che con generosità offrono il proprio tempo e la propria disponibilità».
Prima braccati, poi senza aiuto in frontiera
Per MEDU l’episodio della ragazzina afghana di 12 anni ricoverata venerdì all’ospedale infantile di Torino (rimbalzato fino ai principali media nazionali) è «emblematico» di quanto si sta vivendo in questi giorni sulla frontiera della valle di Susa.
L’ONG ha potuto ricostruire che la ragazzina era stata respinta la notte prima dalla polizia francese, al Monginevro, con altri 49 migranti fra cui 20 bambini.
Gli operatori di MEDU hanno potuto parlare con i genitori. «La famiglia (insieme ad altri nuclei familiari, anch’essi con bambini piccoli) sarebbe stata intercettata dalla PAF (la Police aux frontières, ndr) in montagna, inseguita nei boschi e fermata puntando loro le armi addosso, per essere poi trattenuta per tutta la notte e parte del giorno successivo all’interno di un container della gendarmerie. Nel corso di quella notte la piccola dodicenne ha cominciato a stare male: fino alle cinque del mattino ha continuato a gridare, a sbattere la testa contro le pareti del container, a delirare gridando disperata che c’era la polizia croata. I genitori e gli altri adulti presenti non sono riusciti in alcun modo a calmarla perché la bimba non riconosceva più nessuno, neppure i propri genitori. Le richieste di aiuto sono state inascoltate e non vi è stato alcun soccorso, ma solamente il respingimento verso l’Italia il giorno successivo, non senza ulteriori problemi visto che il nucleo familiare è stato separato senza che venisse dato alcun tipo di informazione, con il panico della bimba in esponenziale aumento fino alla decisione del ricovero al Regina Margherita».
Sempre i genitori hanno riferito che circa cinque anni fa, in Afghanistan, la ragazzina è rimasta coinvolta nello scoppio di una bomba. Il forte stato di shock che in ospedale i medici avrebbero osservato in lei corrisponde troppo bene, commenta ancora MEDU, «a un grave disturbo da stress post-traumatico (PTSD), un disturbo psichico molto frequente nelle persone sopravvissute ad eventi traumatici estremi, così come rilevato quotidianamente dai medici e dagli psicologi di MEDU nella loro attività di assistenza a migranti e rifugiati sia in Italia che all’estero».
Ma intanto l’accaduto pone «molte domande rispetto alle modalità operative della polizia francese di frontiera le quali, se confermate, sarebbero gravemente lesive della dignità, dei diritti, della sicurezza dei migranti».
Tre proposte per l’emergenza umanitaria in valleIn seguito agli ultimi episodi accaduti in valle, che segnano l’aggravarsi di una vera e propria «crisi umanitaria», MEDU ha avanzato oggi tre richieste: 1) l’apertura (o l’ampliamento) di luoghi di accoglienza «per le persone in cammino»; 2) che il rifugio Fraternità Massi sia messo in condizione di restare aperto 24 ore su 24 non solo nel caso di fatti straordinari; 3) l’apertura di un presidio medico, «in estensione o complementare a quello presente nel rifugio, ugualmente accessibile a tutti i migranti indipendentemente dallo status giuridico, che fornisca assistenza medica di base, ma anche, data la composizione dei flussi, un’attenzione ginecologica e pediatrica e un focus specifico sul disagio psichico». |
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