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Sanità migrante/ 2 – Sbarchi, Cie, Cara e territorio: le testimonianze dei medici in un reportage

Sul sito del mensile “ND Noi donne” un’inchiesta di Silvia Vaccaro raccoglie numerose testimonianze di “ordinaria” sanità migrante, dai centri informali di accoglienza ai Cie, dai Cara al debole diritto alla salute dei migranti irregolari sul territorio.

Foto: Noidonne.org.

Maria Cristina Scoto, medico siciliano, lavora da poco a Londra. Viveva ancora nella sua città siciliana «quando una sera di metà agosto, dalla veranda di casa di un’amica, ha visto un peschereccio “minuscolo e fatiscente” attraccare. Erano in 150, tutti siriani: 3.000 euro a testa per 12 giorni di marcia a piedi dalla Siria alla Turchia, e da lì sei giorni di mare aperto per toccare i piedi dell’Europa. Li hanno soccorsi e ci hanno parlato: nessuno voleva rimanere in Italia, tutti pronti a partire per la Germania o la Svezia dove risiedono parenti e amici. Nel giro di poche ore la maggior parte di loro aveva fatto perdere traccia di sé. Erano rimasti circa 50, quelli con figli piccoli, gli anziani e le persone bisognose di cure. Il personale sanitario giunto sul posto, non parlava una parola di inglese, al contrario dei migranti che lo conoscevano bene, compresi i bambini. Quando i paramedici hanno iniziato a voler caricare alcuni migranti sulle ambulanze per portarli in ospedale, si è seminato il panico, sedato solo grazie all’intervento di Maria Cristina e di chi poteva fare da interprete».

Questa testimonianza di “ordinaria” sanità migrante in Italia è stata raccolta, con molte altre, in un’ampia inchiesta pubblicata su Noidonne.org (sito Internet del mensile ND Noi donne) con il titolo Ai piedi dell’Europa. Storie di medici che curano i migranti. L’autrice Silvia Vaccaro, siciliana, giornalista freelance e videomaker, ha lavorato tra Siracusa, Palermo e Roma per comprendere e raccontare «fino a che punto il diritto alla salute dei migranti venga rispettato».

“Senza città intorno”

Oltre che di sbarchi, l’inchiesta racconta dei “centri informali” di prima accoglienza come l’ex scuola Umberto I di Siracusa («All’interno nessun presidio sanitario: la Asl mandava un medico una volta a settimana e per qualsiasi emergenza contattava il Pronto Soccorso»). Dei Cie: «L’aspetto più drammatico dal punto di vista del diritto alla salute è dato dalla bassissima fiducia dei migranti nei medici che operano nei centri». Dei Cara, «centri di convivenza cittadina ma senza città attorno. Spazi non investiti di senso, dove non si capisce cos’è privato e cos’è pubblico e vengono messe insieme persone che provengono da contesti differenti di cui non si conoscono le logiche di interazione. Si rischia di mettere insieme vittime e carnefici». E del debole diritto alla salute dei migranti irregolari sul territorio.

Lontani dai servizi, per paura

Mentre la professoressa Tognetti Bordogna dell’Università Bicocca di Milano ricorda come un approccio securitario che instilla il timore dei migranti sia controproducente per l’intera collettività: «Gli immigrati, e non solo gli irregolari, rimandando l’accesso alle strutture sanitarie per paura, ricorrendo ai pronto soccorso quando i quadri clinici sono già divenuti gravi». E tra l’altro, «perdiamo un’occasione per insegnare ai migranti alcune regole della nostra società. La sanità ha una valenza educativa proprio come la scuola».

Ma nel viaggio di Silvia Vaccaro c’è anche spazio, per fortuna, per almeno una buona pratica di sanità pubblica: l’INMP di Roma, nato nel 2007 e punto di riferimento nazionale per l’assistenza socio-sanitaria ai migranti e alle “fragilità sociali”.

Collegamento

Il reportage completo

 

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IL DIRITTO D’ASILO - REPORT 2020

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